La Coscienza, L’Io e L’Ego

Coscienza

A quale delle tre nature appartiene la coscienza? Parrebbe a prima vista che debba essere identificata con la Natura Immaginaria in quanto è dalla coscienza che  promanano le rappresentazioni dualistiche concettuali.1)

Le cose tuttavia sono un po’ più complesse, dato la coscienza va ben al di là di alcune sue produzioni determinate.

Diciamo intanto che la coscienza contiene in sé un aspetto della Natura Dipendente, in quanto essa sorge nel contesto dei fenomeni e non può esistere indipendentemente da essi.

La sua esistenza è dunque condizionata e dipende da un mondo che essa avverte come esterno, ma soprattutto da un corpo che la sostiene e che ne costituisce la base.

In secondo luogo, ha in sé anche un aspetto della Natura Compiuta, fatto che esamineremo nel prossimo articolo, ma che è presente fin nella stessa sua costituzione che ne fa qualcosa di “conoscente” e non di semplicemente esistente al modo dei fenomeni.

La coscienza condivide pertanto, seppure ad un livello molto più modesto, la lucidità immanente alla Natura Compiuta.

Infine essa ha in sé le funzioni della Natura Immaginaria dualistica che tuttavia vanno anche oltre le semplici produzioni concettuali. Questo aspetto lo affronteremo allorché si tratterà delle questioni dell’antropologia, della cultura e del rapporto con la natura.

Se ora ci chiediamo: esiste la “coscienza” come cosa, oggetto in sé o struttura ben definita e individuata?

Dovremo rispondere: certamente no, in quanto con questo termine si intende solo una serie di funzioni che pertengono alla sfera cognitiva degli individui, di cui essi hanno consapevolezza, anche se sovente assai limitata e distorta.

Io

Che cosa è l’io? Una realizzazione della coscienza, nel suo processo cognitivo interdipendente.

L’io, in ciò, assume l’aspetto della modalità cognitiva dualistica, attraverso cui sono prodotte le entità separate proprie dei concetti.

Potremmo dire che l’io è un concetto che parte dalla oggettivazione del proprio corpo per essere ultimamente identificato con il soggetto, con ciò che costituisce il polo soggettivo del rapporto.

Sembra complicato, ma non lo è affatto. Il pensiero si rappresenta i fenomeni come unità concettuali oggettive e da ciò nasce anche l’impressione di un soggetto che si contrappone all’oggetto.

Ma poiché questo soggetto si trova in un corpo e anche il corpo è un oggetto, ecco che a questo punto l’io non è altro che l’unità del corpo-oggetto e di ciò che viene esperito come l’agente funzionale “interno” al corpo-oggetto e cioè il soggetto.

Forse questa è una definizione che raramente si trova nei testi di filosofia e di psicologia, in quanto normalmente l’io viene definito o come soggetto o come semplice concetto e rappresentazione.

In ogni caso preme sottolineare che, al di là della genesi, l’io nelle sue operazioni sul mondo è un concetto come un altro, almeno sul piano logico.

Quando esercitiamo il nostro pensiero, pensiamo all’io come a un oggetto-concetto che tuttavia non sta di fronte a noi, dalla parte del mondo, ma di fronte al mondo stesso, e cioè dalla nostra parte, identificato con quella che è la nostra identità abituale.

L’io è dunque un pensiero, anzi il centro di tutti i nostri pensieri, in quanto è da questo pensiero che nascono gli atti, i progetti e i ricordi che abbiamo di noi stessi e dell’ambiente in cui ci muoviamo.

Dal punto di vista delle tre nature è un prodotto della Natura Immaginaria.

Per questo motivo condurre una analisi dell’io soltanto a partire dal discrimine della Natura Dipendente, conduce inevitabilmente a conclusioni nichilistiche.2)

Esiste dunque l’io? Certamente, ma solo come prodotto duale della coscienza, in altri termini solo come proiezione concettuale.

Tuttavia esso riveste una sua funzione essenziale nell’ambito della personalità, in quanto determina il senso di continuità della medesima.

Se infatti un individuo esistesse solo nei suoi contenuti psichici che variano continuamente, ad ogni istante sarebbe una persona differente.

E’ dunque l’idealità dell’io che conferisce unità e continuità al senso individuale della coscienza, che poi viene immagazzinato nella memoria.

Ego

Potremmo figurativamente definire l’ego come la parte dell’io rivolta verso se stesso.

Il soggetto cosciente infatti si costituisce come una sorta di Giano bifronte.

Da un lato, l’io è colui che effettua le operazioni logiche sul mondo ed è un concetto, dall’altro, l’ego è il sentire che l’io imprime negli stati mentali.3)

In ciò l’io e l’ego costituiscono l’unità della coscienza individuale che si è enucleata lungo il corso dell’evoluzione della vita.

L’ego è il sentire dell’io che si riverbera in tutte le funzioni fisiologiche. E’ quel sentire che difende la vita e che – proprio per questo – ne ha fatto il suo scopo fondamentale.

Di qui la “fissazione” che lo caratterizza, il suo attaccamento a se stesso che, nel processo che ha portato l’uomo a differenziarsi dagli animali, ne fa ad un certo punto anche una valenza disfunzionale.4)

L’egoismo, non più giustificato dal compito di difendere la propria esistenza, diventa infatti un veleno che l’individuo spande nelle sue relazioni con gli altri, creando conflitti e finendo col mettere continuamente a rischio gli stessi assetti societari.

Tutte le tradizioni spirituali mirano a superarlo se non addirittura ad estinguerlo.

Eppure, questo ego, contiene in sé la radice degli attaccamenti più viscerali ma anche, al contempo, la tensione verso qualcosa di più alto che porti l’esistenza a un livello di compimento che in se stesso non trova.

Vedremo prossimamente come l’ego non solo sia costituito da sentire mentali egoici che sono l’espressione della sua limitazione e che al contempo ne implicano il superamento 5), ma come contenga in sé, nella sua architettura ontologica, il seme stesso del Risveglio.6)

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1) Cfr. il nostro articolo “Le Tre Nature“.

2) Dal punto di vista speculativo questo è certamente un limite dell’epistemologia buddista. L’io, la sua realtà, viene qui investigato a partire dalla realtà della Natura Dipendente. E poiché nella Natura Dipendente non vi è nulla che assomigli all’io, si dichiara che è disfuzionale e radice di errore cognitivo, in ultima analisi inesistente. Certamente l’io non è reale nel senso in cui sono “reali” i fenomeni e non è neppure libero dalle proiezioni illusorie che fanno parte del suo assetto dualistico. Ma ciò non significa che esso, come del resto tutte le produzioni della Natura Immaginaria, non abbia una sua funzione e una sua legalità anche nell’economia del risveglio. Quando dunque l’attuale Dalai Lama afferma che l’io – ad una profonda analisi – non è trovato, non ci si deve stupire, perché non è a partire dai fenomeni che si possa dimostrare la sua esistenza. La comprensione dell’io può avvenire solo a partire dalla sua stessa natura che è concettuale e soprattutto a partire dalla Natura Compiuta di cui è manifestazione contingente.

3) Da quale “natura” è costituito l’ego? Dalla Natura Dipendente, in quanto non è una produzione concettuale, ma uno stato non-duale della nostra coscienza.

4) Nella tradizione buddista l’ego viene definito come la settima coscienza, o manas. E’ caratterizzato dall’illusione che promana dalla chiusura e dall’attaccamento verso se stesso (attaccamento al sé).

5) L’ego si costituisce nella limitazione ontologica individuale come suo fattore funzionale teso a difenderla e preservarla, ma al contempo ne soffre e ha in sé l’insopprimibile bisogno di trascenderla.

6) Non ci soffermiamo in questo contesto a discutere o solo ad accennare alla disputa atman-anatman che caratterizzò il mondo culturale indiano ai tempi del buddha. Mentre la tradizione induista ammetteva un sé o atman individuale identico all’assoluto brahman, il buddismo praticava la via dell’anatman e cioè del non sé (vacuità) per conseguire il risveglio. Come vedremo in seguito, per noi l’ego non è ultimamente caratterizzato né dall’anatman (non sé), né da un sé individuale logicamente definibile.