Antropologia della Non-Dualità

Abbiamo finora visto come la coscienza si manifesti nel mondo attraverso l’io-ego e dunque la dicotomia soggetto-oggetto sia il nucleo di tutto il pensare e l’operare umano.

Certo, alla base dell’ego sta l’archetipo che è unitario pur nelle sue quasi infinite configurazioni, ma ciò riguarda l’aspetto profondo ed in un certo senso occulto dell’esistenza, mentre in superficie vige e regna la dualità più assoluta.

Questa analisi della dualità è stata effettuata minuziosamente dalla filosofia buddista in tutte le sue le scuole e ciò era perfettamente conseguente allo scopo che essa si prefiggeva: superare la dualità che è illusione per far emergere la non-dualità che è illuminazione e risveglio.

Eppure tale operazione nascondeva in sé una semplificazione eccessiva del concetto, ma anche della cultura umana più in generale, dell’antropologia insomma, che è manifestazione non solo del concetto dualistico ma anche di altri aspetti non meno fondamentali.

La Dinamica Ascendente del Concetto

Nel nostro articolo inziale “La Realtà Decurtata” abbiamo visto come la prima filosofia occidentale abbia conferito al concetto una natura ascendente. Partendo dalla sensazione e dall’immaginazione (eikasìa), si arrivava al concetto produttore di opinioni e credenze (pistis), quindi al concetto logico o matematico (diànoia), fino a giungere al nous o idea che era non più un concetto relativo e soggettivo, bensì auto-intuente e dunque reale e completo in se stesso.

Rispetto alle formulazioni buddiste, qui abbiamo una esposizione molto più articolata in cui la conoscenza è esposta nei suoi gradi costitutivi.

Certo, la sostanza fondamentale non cambia, nel senso che solo l’ultimo grado della conoscenza (nous) è vero e pienamente reale, mentre tutti gli altri gradi sono – sia pure in maniera diversa – non completamente reali e dunque almeno in parte illusori.

Secondo quanto da noi esposto negli articoli precedenti, il nous o auto-intuizione non è più qualcosa di puramente concettuale, ma una auto-intuizione (appercezione) che in sé unifica sentire e pensare, sensazione e concetto.

Ovviamente questa unificazione non può avvenire nei gradi “bassi” della conoscenza, laddove le sensazioni sono ancora completamente fisiologiche e materiali e i concetti semplici immagini frammentate.

Ma allorché il sentire diventa mentale e incorpora anche il senso dell’io, il concetto si diluisce in questo sentire e può iniziare l’intuizione appercettiva che è cognizione e sensazione fra loro unificate.

Ora, se noi consideriamo i gradi e modi della conoscenza, possiamo notare che nell’uomo sono tutti manifesti tranne l’ultimo o nous che va conseguito attraverso un percorso spirituale di realizzazione.

Nelle altre specie animali abbiamo invece prevalentemente solo i livelli più bassi e, in bozzo, una capacità ancora incompleta di concettualizzare.

Si potrebbe anche affermare, in maniera forse più esatta, che tutti i gradi della conoscenza sono presenti in tutti gli esseri, ma in modo tale che – a seconda della loro evoluzione fisica e spirituale – alcuni saranno effettivamente esplicitati, mentre altri varranno come puramente impliciti o potenziali.

In ogni caso l’uomo rappresenta l’esempio più completo in natura e dunque una analisi dell’antropologia, cioè della presenza dell’uomo nel mondo e nella società, ci può rivelare qualcosa di interessante sulle dinamiche attraverso cui la coscienza si attualizza nella storia.

Che Cosa è la Cultura?

La coscienza si manifesta come presenza desta o cosciente degli esseri . “Presenza” è intesa qui sia in senso individuale che collettivo.1)

La presenza collettiva costituisce, nelle società umane, quel che noi definiamo “cultura”.

Ora ci chiediamo: come si articola strutturalmente la cultura in quanto espressione della presenza cosciente nella natura e nella storia?

La cultura nasce evolutivamente, biologicamente, dalla natura in cui la presenza è tutta implicita e indifferenziata, come vitalità, espressione dinamica della vita stessa.

La vitalità è dunque quel grumo indifferenziato di coscienza-corpo-mondo presente in tutti gli esseri viventi (vegetali e animali).

La presenza vitale è immanente alla materia e alla coscienza come sensibilità e riproduzione del corpo (nutrizione e riproduzione sessuale).

Nell’uomo, con l’affermarsi del concetto e della sua capacità elaborativa, avviene un processo che è storico e ideale insieme, per cui questa vitalità indifferenziata, inizia a distinguersi nei differenti modi in cui l’uomo opera nel mondo e nella società.

Ovviamente la vitalità, come base psichica e somatica, resta in quanto funzionale alla riproduzione della vita, ma altre funzioni, che sono culturali, si manifestano emergendo da questo grumo.

Il rapporto immediato con la vita diventa così mediato dalla cultura. Le necessità vitali sono in tal modo non più soddisfatte solo immediatamente, ma attraverso una serie di tecniche e di conoscenze pratiche.

Questa sfera pratica della cultura è l’economia, come forma di organizzazione dei beni e dei modi di produzione che consentono una vita adeguata a livello umano.

Sul lato non più pratico ma conoscitivo, se la vitalità era un sentire che si esprimeva solo nell’impulso di soddisfacimento, nella cultura il sentire immediato si fa “estetica”, capacità di cogliere ed esprimere forme e strutture del sentire a qualsiasi livello (suoni, figure, rappresentazioni etc.).

Nasce dunque l’arte che è la valorizzazione delle strutture estetiche della conoscenza.

Abbiamo poi il terreno proprio al concetto con le sue produzioni logiche (filosofia, epistemologia etc.) e scientifiche (concetto esatto), politiche, ideologiche e discorsive.

Infine c’è l’etica che è la capacità, introdotta dal concetto, di identificarsi con l’altro, per far valere presupposti di uguaglianza, giustizia, diritti sociali etc.

Notiamo che in quest’ultimo caso la distinzione dualistica lascia il posto all’identificazione dei poli della distinzione.

Sul piano del sentire ciò implica la manifestazione di emozioni e sentimenti non più egotici, ma di partecipazione, quali senso di equanimità, di compassione e di amorevolezza.

Se dunque la vitalità era quel boccio di presenza che stava alla base delle distinzioni delle forme culturali, l’etica è in un certo senso la forma superiore che ci conduce di nuovo all’unità, da una posizione completamente diversa rispetto alla vitalità stessa, in quanto non-egoica e non più sensibile.

In tal modo possiamo notare come la cultura, che nasce dalla natura, ci introduca attraverso l’etica alla via spirituale, ad un sentire più alto e completo in cui i concetti relativi possano essere superati.

L’etica è così la paideutica, cioè la forma educativa della spiritualità.

Essa ci porta, sul piano sociale, verso il traguardo della non-dualità, intesa qui in senso non più di cognizione individuale, ma di sentire intersoggettivo.

I Valori e la Crisi dell’Occidente

Le forme culturali (economia, arte, logica ed etica) costituiscono i valori dell’uomo e del suo essere animale sociale.

Questi valori, sia pure differentemente declinati, sono universali (appartengono a tutti gli uomini e a tutte le società), ma anche trascendentali in quanto fondano i modi della presenza antropologica.

Possono esseri visti come concetti (l’utile, il bello, il vero e il bene) o anche come categorie in cui si esprime la presenza umana nella natura e nella storia.2)

Rispetto alle posizioni “orientali” che considerano la realtà fattuale solo sotto l’aspetto negativo dell’illusione e dell’irrealtà, qui abbiamo una più precisa definizione di tipo dialettico, nel senso che a detti valori, pur presenti, non è garantito che vengano realizzati e non si tramutino invece nei loro opposti (il dannoso, il brutto, il falso e il male).

Vediamo dunque che sia l’articolazione del concetto che i valori stessi della cultura possono subire involuzioni e cadute.

E’ quanto andavamo affermando nell’articolo iniziale “La Realtà Decurtata“, in cui si diceva che la scoperta del concetto, prodottasi nell’antica Grecia, aveva finito nel tempo con l’involversi in una sorta di entropia spirituale.

Stessa cosa dicasi per le forme culturali. L’etica, cioè la forma superiore e unificante delle società umane, ha ormai da tempo lasciato il primato all’economia, cioè alla forma più materiale caratterizzata dall’utile che ha in tal modo acquisito un ruolo che non le appartiene.

Come se non bastasse, essa da un lato si pone contro l’etica, in quanto radice di disuguaglianze fra gli individui, dall’altro si colloca sempre più vicino alla pura vitalità fondata sulla soddisfazione non tanto dell’utile, quanto del puro desiderio.

Questa è la cifra della crisi in cui si dibatte l’Occidente, data da un’inversione dello spirito e dei valori che debbono sempre tendere verso l’alto della non-dualità e non verso il basso della soggettività egoistica.

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1) In filosofia Presenza o Dasein (esser-ci) è un termine che, nonostante fosse già usato da altri filosofi come Hegel, Feuerbach e Jaspers, fu particolarmente sviluppato da Martin Heidegger nella sua opera “Essere e tempo”.

2) Abbiamo preso spunto, nella nostra definizione di “cultura”, da Benedetto Croce, grande filosofo italiano del novecento che espose la dottrina delle “categorie dello spirito” o forme dell’umana attività.