Il Significato della Meditazione Corporea


Il focalizzarsi sui contenuti significa essenzialmente recuperare il nostro corpo, con tutte le sue funzioni, al lavoro meditativo.

E’ ciò che il buddha stesso indicava quando parlava degli skandha e della necessità di prenderne consapevolezza per il progresso della via spirituale.1)

Gli skandha infatti sono le componenti dinamiche, organiche e funzionali di cui siamo costituiti.

Vipassana non fa altro che lavorare su di esse e il lavoro consiste nel penetrarle alla luce della vigile attenzione fino a incorporarle nella consapevolezza.

E’ quel che abbiamo definito come il compito dell’unificazione e poiché le funzioni corporee sono al tempo stesso psichiche e spirituali, ciò significa anzitutto fare opera di armonizzazione e sincronizzazione nell’unità profonda di corpo e mente.

C’è dunque, alla base del lavoro meditativo, un fattore terapeutico che lo costituisce intimamente, dato che ogni discontinuità e disarmonia dell’individuo è causa ed effetto di una alterazione dell’equilibrio fondamentale che porta allo stato di malattia.

La meditazione è terapeutica e questo va inteso non solo in senso fisico e mentale, ma a livello ontologico, in altri termini sul piano della totalità che ci costituisce.

La condizione che caratterizza l’individuo non è infatti determinata soltanto dagli stati disarmonici che causano dolore e malattia sul piano psico-fisico, ma getta le sue radici nella struttura dualistica della coscienza.

La dicotomia soggetto-oggetto, il fatto cioè che noi sperimentiamo e conosciamo attraverso l’alterità della forma oggettiva e che non siamo presenti a noi stessi se non appunto in tale forma, è quel limite fondamentale e anche la condizione da cui discende e dipende ogni forma di disarmonia, dolore, insoddisfazione e incompletezza.

La guarigione da questa frattura dualistica è lo scopo del meditante ed il corpo ne costituisce il campo di lavoro elettivo per conseguirla.2)

Non-Dualità Corporea

Se la meditazione, nel suo significato più generale, significa trascendere la dualità per cogliere l’immediatezza del reale, il corpo è già naturalmente impostato in una modalità che è oltre le elaborazioni dualistiche della coscienza ordinaria.

La nostra esperienza corporea è costituita infatti dal sentire, in cui non vi è scissione fra il soggetto che sente e la sensazione stessa.

Nella consapevolezza del proprio corpo (tatto, cinestesia, respirazione, emozioni, stati mentali, etc., attraverso cui trascorriamo istante per istante) l’atto del sentire si presenta come unitario, senza partizione alcuna fra soggetto senziente e oggetto sentito.

Se la nostra mente abituale imprime a ogni esperienza il marchio della dualità in cui fiorisce e vegeta il senso dell’io-ego, ciò che vive ed esperisce all’interno della partizione soggetto-oggetto è un sentire che, pur mutando incessantemente, contiene in sé immediatamente sia il soggetto che l’oggetto, fusi e fra loro indistinguibili.

La meditazione corporea è dunque il campo esperienziale della non-dualità a livello psicofisico che contiene in sé il germe della non-dualità profonda e primordiale.

Meditare sul sentire corporeo significa unificarlo via via nelle sue costituenti e funzioni che vanno dal piano fisico a quello psichico e spirituale.

Per giungere all’unificazione suprema (samadhi) occorrerà trascendere lo stesso io-ego che costituisce la formazione nucleare dell’individualità, ma la via è già indicata entro la costituzione prettamente naturale del sentire.

Corpo come Supporto

La meditazione accoglie in sé tutti i contenuti dell’esperienza, ivi compresi i fenomeni extra-corporei del mondo in cui viviamo.

Durante il processo meditativo io posso ad esempio osservare un albero e coglierne, contemplarne le qualità e caratteristiche fino a immergermi completamente in esso.

Ma l’effetto non potrà mai essere pari al sentire che ho – poniamo –  della mia mano o del mio respiro, in cui io sono davvero – fin dall’inizio – mano e respiro che fanno già parte di me naturalmente.

La non-dualità corporea è dunque più completa, la sua esperienza più unitaria rispetto a quella che possiamo avere del mondo esterno e per questo motivo è più efficace nel progresso verso l’unificazione.

Nel corpo siamo già uno, anche se non lo riconosciamo in quanto quell’esperienza è attraversata continuamente dalla dicotomia della coscienza che dice: questo sono io, quello è l’altro dell’esperienza.

Per tale motivo è essenziale lavorare con vipassana sul corpo e sui suoi livelli soma-psiche perché è esso stesso che ci condurrà al traguardo a cui ci votiamo.3)

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1) Gli skandha o “aggregati” sono: forma (corpo), sensazione, percezione, fattori mentali, coscienza. Sull’importanza della consapevolezza rivolta agli skandha, cfr. il Satipatthana Sutta in https://www.canonepali.net/2015/05/mn-10-satipatthana-sutta-i-pilastri-del-sapere/

2) La meditazione dell’apertura e della vacuità (śamatha) conduce il meditante in una dimensione in cui ogni separazione, limite e determinazione cessa, in  quella condizione di esistenza di tutti i fenomeni (lo spazio assoluto, il vuoto della mente) che è anche il loro stato di fondo primordiale. Ma è l’attenzione consapevole dei contenuti o vipassana, che lo porta a lavorare con le sue componenti essenziali per rafforzarle e unificarle.

3) “Amico, io dico che senza raggiungere la fine del mondo non si può porre termine al dolore; ma in questo corpo, amico, della misura di un braccio [di lunghezza], fornito di percezione e di mente, io indico il mondo, l’origine del mondo, la dissoluzione del mondo e la via che conduce alla dissoluzione del mondo.” (Samyutta Nikaya, I, 2, 3, 6, 9).