Appercezione Egoica

Abbiamo già visto precedentemente come la coscienza non sia relegabile unicamente entro il campo del dualismo concettuale.

Il dualismo mette capo infatti all’io e alle sue produzioni mentali in cui si enuclea la nostra personalità, individuale e sociale, e attraverso cui ci dirigiamo sul mondo con ricordi, aspettative e progetti.

Abbiamo definito questo io come la faccia rivolta al mondo, considerando tuttavia che esiste una corrispondente faccia – sempre del medesimo Giano bifronte – che non è funzionalmente diretta all’esterno ma su stessa.

Questa faccia volta verso se stessa è rappresentata dall’ego.

Mentre l’io ha come suo campo elettivo il concetto e le relative rappresentazioni, l’ego si muove all’interno del sentire, dove con questo termine indichiamo ogni genere di sentire (fisico, emotivo), ma soprattutto mentale.

Potremmo dunque parlare del sentire anche come facoltà intuitiva, una consapevolezza immediata che vive in tutta la nostra sfera fisiologica, ma che si attesta soprattutto a livello mentale, in quanto questo tipo di sentire è soprattutto il sentire dell’io stesso che è creatura tipicamente mentale.

Coscienza, Sentire e Io-Ego

La coscienza è stata investigata, dalle filosofie orientali ed occidentali, principalmente nella sua componente ideativa e rappresentativa, nella sua capacità di elaborare concetti con cui cerchiamo di comprendere e di organizzare la realtà in cui siamo immessi.

Ma ciò non esaurisce per nulla le sue funzioni.

Essa infatti è radicata in un organismo corporeo costituito soprattutto da sensazioni le quali, partendo dai bisogni immediati, si dipanano lungo tutto l’arco psicosomatico: sensazioni fisiche e fisiologiche, emozioni e stati mentali.

Noi diremmo che il sentire della coscienza si articola attraverso tutta la piramide fisica e mentale dell’individuo, fino a raggiungerne la manifestazione centrale e fondamentale: l’io.

L’io opera continuamente, vero centro di ogni nostro atto, e tale lavorìo finisce con il fissarsi nella catena dei sentire, tanto che l’io stesso diventa un sentire e questo sentire dell’io non è altro che l’ego.

Il rapporto io/ego è in realtà biunivoco: l’ego come principio vitale si serve di operazioni mentali per soddisfare i suoi bisogni primari e così facendo elabora l’io; l’io a sua volta, nelle sue operazioni, viene fissato nel sentire vitale, formando il sentire dell’io stesso che è a questo punto un ego.

Ego come Appercezione Egoica

Vediamo un attimo di stabilire l’intima relazione che intercorre fra il sentire come fenomeno in sé e il sentire egoico che entro questo si sintetizza.

E’ un discorso sottile e dunque bisognerà seguirne i passaggi con attenzione dato che qui stiamo trattando non di un fenomeno fisico, ma di qualcosa legato alla nostra natura profonda, non oggettivabile.

Abbiamo visto come ogni sentire sia privo della partizione soggetto-oggetto: il sentito è il medesimo del senziente e viceversa. Dunque a rigor di logica qui non esiste né sentito né senziente, ma l’atto unico del sentire.

Dato che l’io è una creatura mentale,  tutti i sentire in cui l’io si fissa sono dei sentire mentali, proprio perché sorgono in dipendenza dalle elaborazioni concettuali.

Ogni passione, destata dalle nostre concettualizzazioni, è così uno specifico sentire che comprende anche l’io in quanto elaboratore delle stesse.

Questo sentire dell’io, immediatamente presente in tutti i nostri sentire, è per l’appunto l’ego il quale ritrova se stesso, fuso nei suoi contenuti.

Pertanto qui non c’è solo una unità priva dei poli soggetto/oggetto, come avviene in ogni sensazione, ma anche il riconoscimento coscienziale dell’ego, quel particolarissimo sentire caratterizzato dall’essere “egoico” e che è presente in ogni sentire mentale.

In ogni nostra emozione, in ogni stato mentale in cui versiamo, ritroviamo l’ego che ha per contenuto quel sentire e tale sentire sintetico (sentire + ego) diventa forma, anzi essenza e modo d’essere dell’ego stesso.

Diremo che l’ego è (diventa) tutti i suoi stati mentali e – di converso – ogni stato porta in sé il marchio caratteristico dell’ego.

Non vi è un sentire, uno stato mentale in cui sentire ed ego si presentino separati. Ciò avviene nell’elaborazione prodotta dall’io dualistico, ma nell’ego ogni processo è unitario.

Questo ego che sente se stesso nei suoi contenuti, noi lo definiamo appercezione egoica, in quanto si tratta di un sentire che contiene al suo interno una percezione in esso fissata e che è la percezione di essere un io, che a questo punto, in tale fissazione, diventa ed è un ego.1)

Vedremo in seguito che tale appercezione dell’ego è solo la forma limitata della consapevolezza, che è anch’essa appercezione (nel senso di auto-intuizione), ma purificata da ogni contenuto egoico.

Tale continuità fra appercezione egoica e consapevolezza costituisce anche lo svincolo, il nodo focale del sentire del risveglio, in quanto quel che deve essere fatto è sciogliere l’ego dai limiti del suo sentire, nell’appercezione divenuta a questo punto libera e risvegliata.

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1) AppercezioneTermine filosofico introdotto da G. Leibniz per indicare l’atto riflessivo attraverso cui l’uomo diviene consapevole delle sue percezioni, che di per sé possono anche rimanere inavvertite; l’a. è dunque il fondamento ultimo della coscienza e dell’io. I. Kant chiamò a. l’autocoscienza e a. pura (o originaria) quell’‘Io penso’ che «deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni», costituendo «l’unità trascendentale dell’autocoscienza». L’a. pura si distingue dall’a. empirica, che è la coscienza nella totalità del suo contenuto, in cui l’Io penso è fuso col dato dell’intuizione sensibile. (da Enciclopedia Treccani). Noi diamo all’appercezione un significato diverso da quello attribuitole da Kant, ultimamente identificabile con la pura consapevolezza e non con l’autocoscienza dell’io logico. In questo contesto, l’ego è una appercezione limitata dall’egoità, mentre l’io-penso non è affatto una “appercezione pura”, ma solo la stessa classe della concettualità. Rileviamo come tale concetto di “appercezione” non sia assimilabile né alla visione dell’anatman, né a quella dell’atman, ma le comprenda entrambe, escludendone gli estremi.