Il Mandala del Risveglio

La meditazione corporea, per quanto essenziale, è solo uno dei poli della pratica.

Perché, anche se volessimo restare nel corpo e meditare in esso fino al Risveglio, inevitabilmente a un certo punto dovremmo passare nell’apertura e nella vacuità.

La meditazione può avere effetto solo perché coinvolge la totalità delle componenti psico-fisiche, a prescindere da dove si inizi e su cosa si pratichi principalmente.

Le componenti essenziali sulle quali è bene esercitarsi sono cinque:

  1. il corpo come supporto e veicolo della nostra individualità;
  2. il respiro come atto della funzione energetica;
  3. il suono (mantra) come elemento unificante che media le componenti individuali con quelle “trascendentali”;
  4. …le quali, spazio e vacuità, costituiscono il presupposto di ogni fenomeno e di ogni tipo di presenza.

Le Tre Fasi della Meditazione

Nei primi periodi in cui si pratica è bene esercitarsi separatamente su ognuna delle cinque componenti, anche se l’apertura e la meditazione corporea devono avere un ruolo privilegiato.

La meditazione potrebbe infatti essere paragonata ad un puzzle in cui tutte le tessere devono essere presenti e collocate al loro giusto posto.

Così dobbiamo, attraverso la pratica, acquisire una familiarità il più possibile profonda di queste componenti essenziali.

Ciò rappresenta il compito preliminare di ogni percorso meditativo, in quanto successivamente si dovrà passare a integrare le componenti fra di loro e in modo non semplicemente meccanico.

La pratica della seconda fase consisterà dunque nel passare dinamicamente da una componente all’altra, integrandole nel loro insieme.

E’ bene in questo caso partire da quella più densa (corpo) e via via meditare sul respiro, mantra, spazio e vacuità.

Si tratta di un esercizio che potremmo definire a “piramide”, in cui esercitandoci sul sentire consapevolmente il proprio corpo (scansione corporea), passiamo quindi a sentire il respiro nel corpo e così via.

Da notare che il sentire che noi esercitiamo su una componente più basilare non deve essere ritratto allorché ci volgiamo a quella successiva.

Così, quando ci focalizzeremo sul respiro, il sentire corporeo che avevamo precedentemente attivato resterà il più possibile presente e stessa cosa dicasi allorché dal respiro passeremo al mantra.

Insomma in questo esercizio a “piramide” ogni base resta attiva via via che passiamo alla base successiva, fino a che tutte le componenti siano effettivamente presenti alla consapevolezza in un modo naturalmente integrato, senza forzature particolari e proiezioni rappresentative.

Nella terza fase, allorché ci saremo familiarizzati con tutte le componenti, sarà possibile praticare come con un mandala che, in ogni punto o sezione di esso, contiene implicitamente tutti gli altri.

Come dire: ogni componente potrà fungere da base o da punto di completamento o di passaggio.

La pratica in tal modo acquisirà un “rotondità” che conterrà via via un sentire sempre più completo e immediato.

In tal modo la reciproca integrazione delle componenti nell’unità della presenza a poco a poco ci condurrà sempre più in profondità verso il traguardo dell’unificazione (samadhi).

Qui, il carattere distintivo dell’io-ego, il suo sforzo costante per separarsi intellettualmente dall’oggetto, lascerà posto a una esperienza unitaria di coesione consapevole foriera di nuove esperienze ancor più profonde ed essenziali.

Ovviamente si tratta di un processo assai lungo, in cui pazientemente dovremo a più riprese tornare su tutte le fasi, processo che non è garantito una volta per tutte e che deve procedere in modo stabile, in quanto c’è sempre il rischio che si possa arrestare o – peggio – regredire, se non volgeremo la dovuta cura alla nostra pratica quotidiana.

E’ bene ricordare che non vi è un tempo prefissato per ognuna di queste fasi. E certamente non è questione di mesi, ma di anni.

La ricerca spirituale non contempla la fretta e l’impazienza, è una consegna di motivazione e di disciplina che richiede un certo ordine fisico e mentale.

Fino a che il nostro apparato psico-fisico non è pronto a muoversi spontaneamente in sinergia con lo scopo prefissato, un certo impegno è richiesto anche all’io-ego.

Non per nulla parliamo di “ricerca spirituale”, in cui all’inizio i poli sono due, il ricercatore e l’oggetto della ricerca, e solo a poco a poco il dualismo tende a sfuocarsi e ultimamente a venir meno.1)

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1) E’ questa l’essenza dell’approccio graduale al sentiero. Per quanto concerne l’approccio istantaneo, che procede fin dall’inizio come se si fosse di già illuminati e dunque rifiuta lo stesso concetto di “ricerca spirituale” in quanto dualistico, può essere valido solo per una minoranza infinitesimale di individui.